Domenica, 24 Aprile 2022 10:41

Archelon - Strumenti Da Pesca: Le Reti A Strascico

Gli strumenti da pesca

Le origini dell’attività di pesca possono essere fatte risalire alla stessa epoca dei primi cacciatori terrestri. Inizialmente si pescava con ami ricavati da ossi, conchiglie e pietre ma nel corso del tempo la pesca ha subito un’evoluzione, portando all’utilizzo anche di reti e nasse. Questi strumenti vengono definiti passivi per via della loro modalità di pesca: restano fermi e sfruttano i movimenti delle correnti e dei pesci per poter pescare.

Rappresentazione dell'attività di pesca in una tomba etrusca (Particolare di affresco dalla "Tomba della Caccia e della Pesca", Necropoli di Monterozzi, Tarquinia (VT))

Negli anni, poi, sono sopraggiunte altre tecniche di pesca, con strumenti definiti attivi, ovvero strumenti che svolgono la loro azione muovendosi all’interno della colonna d’acqua, come ad esempio le draghe idrauliche, utilizzate soprattutto per la raccolta delle vongole, le reti a circuizione e le reti volanti, impiegate nella pesca del pesce presente nella colonna d’acqua, ed infine, le reti a strascico, le reti più impattanti ed inquinanti, ma anche le più redditizie.

 

La pesca a strascico

Prima di parlare dei problemi legati alla pesca a strascico, capiamo insieme come si svolge.

La pesca a strascico, inizialmente svolta da due imbarcazioni, può essere oggi svolta da una imbarcazione singola grazie alla presenza di due divergenti, delle strutture rigide che permettono alla rete di essere tirata da due lati opposti per rimanere aperta.

La rete a strascico è costituita dall’apertura, dal ventre e dal sacco, la parte più importante perché è quella dove si concentra il pesce che verrà poi sbarcato a bordo. La bocca della rete, oltre che dai divergenti, è tenuta aperta da una lima in sughero posta superiormente e da una lima in piombo, posta nella parte inferiore. Quest’ultima ha anche il compito di “arare” il fondale per sollevare i pesci che vi sono a contatto, così da farli entrare all’interno della rete.

Schematizzazione del funzionamento della rete a strascico. [Foto di wikimedia commons modificata]

La rete, per poter svolgere bene il proprio lavoro, deve essere mantenuta aperta viaggiando ad una velocità costante.

  

Problematiche

Poco fa abbiamo definito l’azione di ricerca del pesce sui fondali come “aratura”, questo perché le reti a strascico sono un po’ come degli aratri su un terreno: scavano nel fondale stravolgendolo e rimescolando il sedimento. Questo porta due gravi problemi. Il primo, e forse meno conosciuto, riguarda le emissioni di CO2.  Il mare ha un ruolo importantissimo nel limitare il riscaldamento globale grazie alla sua capacità di assorbire anidride carbonica, noto gas serra la cui concentrazione sta aumentando in atmosfera.Con la pesca a strascico, però, si va a rimettere in sospensione la CO2 presente nei fondali e ciò comporta una diminuzione della capacità di assorbimento dell’anidride carbonica del mare.

La seconda problematica è probabilmente più nota e suscita nel grande pubblico privato opinioni discordanti: si tratta della perdita di biodiversità legata alla distruzione dei fondali. Tornando all’esempio dell’aratro, immaginate di arare non un campo di terra ma un campo di fiori. Quale sarebbe il risultato? I fiori sarebbero distrutti, le radici divelte dal terreno e il prato dovrebbe aspettare ben più di qualche mese prima di tornare ad avere il suo aspetto originale. La stessa cosa avviene sui fondali marini, in particolar modo sulle praterie di fanerogame marine (piante acquatiche, come ad esempio la Posidonia oceanica), che costituiscono un habitat molto importante per diverse specie appartenenti alla fauna marina. Il danno non è diretto solo a queste piante ma, indirettamente, ricade su tutte quelle specie che vivono in questo habitat.

  

Fondale che non ha subito l'azione delle reti a strascico [A] a confronto con il fondale che l'ha subita[B].

Inizialmente abbiamo parlato di due soli problemi, ma in realtà vi è un terzo problema, legato non all’aratura del fondale, ma al metodo da pesca in sé per sé. La pesca a strascico, infatti, è una pesca non selettiva: dentro la rete entra non solo la specie target che si vuole pescare per poi rivendere, ma diverse specie, alcune delle quali non hanno un valore commerciale (bycatch) e che, una volta issate a bordo e scartate, vengono poi ributtate in mare, morte.

Bycatch della pesca del gamberetto.

Tra queste specie vi sono diversi squali (come gattucci e palombi), che è possibile vedere anche sui banconi delle pescherie pur non avendo un grande valore commerciale (eh già, la carne di squalo viene mangiata abbastanza comunemente, anche qui in Italia es palombo, smeriglio). Questi animali hanno un ciclo riproduttivo lento e producono prole meno numerosa, ecco perchè la cattura, per quanto accidentale, rappresenta una grave minaccia alla loro conservazione.

Ma di fronte a tutti questi problemi quali rimedi è possibile applicare? E, soprattutto, esistono dei rimedi?

 

Soluzioni

 La risposta è “sì” a entrambe le domande, ma con l’aggiunta del “però non bastano”. Una di queste soluzioni è stata quelladi imporre una limitazione sulle maglie delle reti a strascico. Esse, come previsto dal Regolamento UE n.1343/201, devono avere un’apertura uguale o superiore ai 40mm e devono essere quadrate e non romboidali poiché, quest’ultime, nel momento in cui la rete viene trainata tendono a chiudersi, evitando così la fuoriuscita del pesce sotto taglia che non può essere commercializzato.

Un’altra soluzione è stata quella di istituire un decreto legislativo in cui viene vietata la pesca a strascico entro le 3 miglia dalla costa e ad una profondità che non deve essere inferiore ai 50m. Purtroppo, però, questi limiti non sono assoluti e, oltre alla possibilità di avere delle deroghe, c’è anche chi svolge pesca illegale, andando a pescare lo stesso in queste aree protette.

Fortunatamente, è stato trovato un modo per poter arginare questo fenomeno. Nel 2012, all’interno dell’Area Marina Protetta delle Isole Egadi, ed in particolare attorno all’isola di Favignana, sono stati posti dei blocchi di cemento (a pH neutro così da non alterare quello dell’ambiente marino) con dei ganci metallici, in modo da bloccare le reti e danneggiarle in maniera irreparabile. In questo modo in poco tempo la pesca di frodo è stata scoraggiata, facendo diminuire le incursioni in questi ambienti del 50%. Negli anni successivi, grazie anche all’arrivo di nuovi fondi, sono stati posti dei blocchi anche intorno alle isole di Levanzo e Marettimo.

Un altro progetto analogo è nato da un’idea di Paolo Fanciulli, pescatore e ambientalista toscano, nel mare della Maremma. In questo progetto l’arte e il mare si sono incontrati nella realizzazione di 24 blocchi di marmo scolpiti da diversi artisti, che poi sono stati inseriti in acqua per scoraggiare la pesca illegale. Successivamente, nel 2019, sono stati installati altri 15 dissuasori. In questo modo si vuole creare un turismo consapevole e sensibile a queste problematiche e parallelamente preservare i nostri fondali.

Come abbiamo detto poco fa, però, questi rimedi non bastano. Contrastano solo una parte dei problemi legati all’utilizzo di queste reti e neanche in maniera completamente efficiente. L’ideale sarebbe sostituire questo tipo di pesca con degli attrezzi più selettivi e meno impattanti, come ad esempio le nasse.

Purtroppo la soluzione al problema appare ancora lontana e risiede anche in una presa di coscienza individuale da parte del consumatore che, nel momento della scelta e dell'acquisto di un prodotto, può e deve chiedersi con quale sistema di pesca quel pesce è arrivato su un bancone.

Altra informazione importante da acquisire per contribuire a contenere il danno riguarda l'area di pesca (riportata sulle etichette) e, nel caso di pesce in scatola o surgelato, sarebbe opportuno controllare che sia provvisto di uno dei marchi di certificazione,come ad esempio il marchio MSC.

  

Sitografia: